Il sacro e il profano nell’Islam

IMG_20161030_123446È possibile parlare di sacro e profano a proposito dell’Islam? Solo tenendo presente che si tratta di una forzatura e che non sono categorie proprie del pensiero religioso islamico. E’ necessario uno sforzo per condurre e comprendere queste categorie nell’ambito dell’Islam, e comunque le si troverà profondamente diverse da come sono intese dalla tradizione cattolica e nella cultura europea fortemente secolarizzata.

Il termine latino sanctus (santo) deriva dal verbo sancire (delimitare, stabilire) e indica ciò che è separato e delimitato per motivi religiosi mentre il termine sacer (sacro) indica piuttosto ciò che è stato consacrato (reso sacro o santo). In senso generale il sacro è il carattere di ciò che possiede un valore assoluto e partecipa del divino, ed è nella sua essenza separato e nascosto. Opposto del sacro è il profano. Nell’antichità il tempio aveva una parte consacrata fanum ed un luogo che stava davanti o all’esterno del fanum, che era cioè pro-fanum. La parola profano è allora passata a significare tutto ciò che è estraneo alle cose sacre e alla religione. Anche l’azione che offende o rovina una realtà –materiale o spirituale – considerata sacra è detta profanazione.

Nell’Islam non vi sono luoghi sacri, ad eccezione – in base ad un hadīth profetico- di una zona di Mecca intorno alla Ka‘ba (detta al Harām, l’inviolabile) e di quella circostante la moschea fatta costruire dal Profeta a Medina.  A Mecca, si fa risalire la fondazione della Ka’ba ad Adamo, e la sua ricostruzione ad Abramo e Ismaele, quindi è un luogo considerato sacro prima dell’Islam. Le moschee non sono però spazi consacrati, ma luoghi di preghiera comunitaria e di studio, in cui viene sì circoscritta una porzione di spazio, ma più per motivi pratici. Infatti in base ad un hadith , qualsiasi porzione di terreno accolga la prosternazione (sujūd) del fedele è una moschea (masjid).Un testo profetico dice: “Per me (Muhammad)la terra è stata resa (tutta)buona e pura, e (tutta) luogo di prosternazione (masjid): dovunque sia un credente al momento della preghiera, preghi nel luogo in cui si trova.” ( Hadīth n. 521, Sahīh di Muslim, Libro delle moschee e dei luoghi per pregare). Ne consegue che mentre le comunità tradizionali precedenti l’Islam non possono pregare se non in luoghi consacrati, della cui purezza si è certi, i musulmani possono pregare su tutta la terra ad eccezione di quei luoghi della cui impurità si è certi (latrine, macelli ecc.).  Non essendo prevista la figura di sacerdoti preposti a rendere sacro attraverso riti e sacramenti, possiamo dire che la tensione tra terreno e divino è tutta racchiusa nella coscienza del credente e nella sua sottomissione al creatore e alla sua legge. Considerando la premessa, rifletteremo nel nostro discorso sulle seguenti categorie. La prima è la distinzione tra ciò che fa parte della religione (dīn, ovvero il comportamento religioso e la via che porta a Dio) e ciò che appartiene al mondo fisico (dunyā) e alle sue manifestazioni nella vita dell’essere umano. La seconda è la distinzione tra ciò che è lecito (halāl) e ciò che è proibito (harām) in base ai precetti della Sharī’a.

La distinzione tra dīn e dunyā non è netta, poiché il comportamento nella religione investe anche la vita terrena, di cui molti aspetti  sono regolati dalla religione e dalla giurisprudenza (fiqh),  come mangiare, bere, farsi una famiglia,  lavorare per sfamare se stessi e le famiglie, ecc.  Non vi è nulla di profano nel vivere gli affetti e i piaceri della vita. La dunyā, la vita terrena e tutte le attività umane, non hanno un carattere profano così come è inteso nella cultura occidentale, poiché non sono estranei alla religione. La Sharīa, attraverso il Corano e la Sunna, si occupa di ogni aspetto della vita dell’uomo. Gli atti di adorazione (‘ibadāt) come la preghiera e il digiuno sono parte della religione, ma l’ortodossia della pratica è anch’essa parte della fede e garantisce la dignità dell’uomo nella sua vita terrena. Così la vita familiare, le relazioni sociali, il commercio, e altre attività mondane sono regolate da precetti, anche direttamente coranici. Le azioni umane, nel momento in cui vengono attuate dal credente rispettando i limiti e la legge di Dio, sono lecite (halāl) e quindi pur non avendo alcuna sacralità, sono graditi a Dio e non hanno carattere profano, ovvero-in senso lato-offensivo o contrario alla religione. E’ invece illecito (harām), solo ciò che nei testi è indicato come tale. Narra un Hadīth profetico: Il halāl e il harām sono entrambi chiari  (nei testi) e tra loro ci sono questioni dubbiose (mutashabihāt) in merito alle quali le persone non sanno con certezza se siano lecite o proibite. Colui che li evita al fine di preservare la sua religione e il suo onore – è sicuro; mentre colui che si impegna in una parte di essi può fare qualcosa di illecito, come un pastore che pascola i suoi animali nei pressi della Hima (terreni che sono riservati agli animali appartenenti al Re, che sono proibiti per gli altri animali). (In questo caso) è molto probabile che alcuni dei suoi animali vi entreranno (nel terreno). In verità, ogni re ha una Hima, e la Hima di Allah è quello che Egli ha proibito. Quindi state attenti, nel corpo vi è un pezzo di carne; se esso è buono, tutto il corpo è buono, – se esso è corrotto, tutto il corpo è corrotto, ed esso è il cuore. (Hadīth n.6 in : 40 Hadīthdi , Imam Annawāwi, , riportato da al-Bukhāri e da  Muslim). La vita terrena è la dimensione in cui l’essere umano (che nel Corano e nella lingua araba è chiamato al insān, colui che dimentica) più facilmente scivola nell’oblio di Dio e dei suoi limiti e trascura la vita spirituale e il ricordi di Dio. Uno dei nomi del Corano è il Monito (al dikhr), avvertimento e ricordo per l’umanità: riporta l’essere umano al ricordo di Dio e alla riflessione sul  divino: “Non è con il ricordo di Dio che si acquietano i cuori ?” (Corano, XIII, 28).Nella sottomissione (islam) al creatore il fedele distingue, tramite la Sharī’a, il lecito (Halāl) dall’illecito (Harām). Così la vita terrena diviene non già profana, ma un bene di cui rallegrarsi, la provvidenza di cui godere, e anche il favore di Dio sul servo devoto. Saper vivere è un atto di fede e di devozione gradito a Dio. Un hadīth del Profeta riporta che egli disse ad alcuni compagni: “Quando saluti fai una sadaqa (elemosina che viene ricompensata da Dio). Quando compi una donazione, fai una sadaqa. Quando sorridi al tuo fratello, fai una sadaqa. Quando hai un rapporto con tua moglie fai ugualmente una sadaqa.” Quando i compagni, stupiti, gli chiesero come fosse possibile essere ricompensati anche per l’atto sessuale, rispose: “Se lo faceste in modo illecito, non commettereste forse un peccato? Così quando si compie l’atto sessuale in maniera lecita, si merita una ricompensa.” (Hadīth riportato da Muslim). L’Islam non prevede l’umiliazione del corpo, dei sensi, ma incoraggia (nella liceità sharaitica) l’appagamento dei desideri e del piacere. Un hadith narra che Handhala, uno scriba del profeta, incontrando Abu Bakr gli disse:  “ Oh Abu Bakr! Hanzalah è diventato un ipocrita. (…) “Quando siamo in compagnia del Profeta di Dio e lui ci ricorda l’infernoci sentiamo come se lo stessimo vedendo con i nostri occhi,  ma quando siamo lontani da lui ci dedichiamo alle nostre mogli, ai nostri figli, ai nostri affari, e la maggior parte delle cose (che riguardano al vita futura) scivolano via  delle nostre menti.” Abu Bakr rispose: “Per Allah, anch’io vivo la stessa situazione”.

Quindi si recarono dal profeta e gli chiesero conto di ciò, e lui disse:”Per Colui nelle cui mani è la mia vita, se il vostro stato d’animo rimanesse lo stesso di quando siete in mia presenza e foste sempre occupati nel ricordo (di Dio), gli angeli vi terrebbero per mano nel vostro letto e in strada;  ma Hanzalah, c’è un tempo che deve essere dedicato alle cose del mondo e un tempo che deve essere dedicato alla preghiera.” E lo ripetè tre volte. (Hadith Numero 151Riyad-us-Saliheen, Il libro della miscellanea, capitolo 14 moderazione nel culto)

Foto di Marisa Iannucci

L’articolo è stato pubblicato su: Rivista Confronti, Dossier “Sacro e profano nelle religioni”, Settembre 2016 http://www.confronti.net 

 


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