Mosè nel Corano. Le dieci parole.

“Disse Iddio: “O Mosè, ti ho eletto al di sopra degli uomini per [affidarti] i Miei messaggi e le Mie parole. Prendi ciò che ti do e sii riconoscente”

(Corano VII,144)

Il Corano racconta delle Tavole date da Dio a Mosè sul monte Sinai, ma non entra a descriverne nel dettaglio i contenuti già presenti nella Bibbia. Ritroviamo, però, nel Corano tutti i precetti che esse indicano nelle fonti bibliche (Esodo e Deuteronomio). Il puro monoteismo, la proibizione di raffigurare la divinità con immagini o statue e di adorarle, l’importanza di vivere la fasta e il riposo, di onorare e rispettare i genitori, non rubare e non uccidere, non commettere adulterio sono presenti nella Shari’a coranica. Nell’altra fonte della Shari’a, la Sunna (raccolta dei detti) del profeta Muhammad, troviamo un unico hadith (un racconto) in cui egli spiegò il significato delle dieci parole a due uomini ebrei che lo interrogarono a proposito di un versetto del Corano su Mosè.

[…] Il profeta gli rispose: “Non associare niente e nessuno a Dio, non rubare, non commettere adulterio, non uccidere senza una giusta causa, non usare la stregoneria, non praticare l’usura e non testimoniare il falso per fare uccidere un innocente; non calunniare le donne accusandole di adulterio.  Voi ebrei in particolare, non violate il sabato.” […] [1]

Grande spazio ha, invece, la storia di Mosè, uomo e profeta.

E nel Libro ricorda Mosè. In verità egli era un sincero devoto, un messaggero (rasul) e un profeta (nabi). Lo chiamammo dal lato destro del Monte (Sinai) e l’avvicinammo a Noi in colloquio segreto. E come misericordia da parte Nostra, gli donammo suo fratello Aronne come profeta. (Corano XIX, 51-53)

Il Corano racconta la sua nascita e l’adozione da parte di Asya, la moglie di Faraone, le vicissitudini che lo portarono con la famiglia in viaggio nel Sinai, dove fu attratto da un fuoco in lontananza, la fiamma verde di un albero che ardeva senza consumarsi. Là Iddio gli parlò, informandolo della sua missione presso Faraone per salvare il popolo d’Israele. Come prova della Sua potenza, il Signore gli mostrò due dei segni destinati al tiranno e al suo popolo: trasformò il bastone di Mosè in un serpente e poi guarì la sua mano da un male che lo affliggeva (secondo la tradizione era lebbra). Dio quindi gli affidò il compito di tornare in terra d’Egitto per convincere Faraone ad affrancare il suo popolo dalla schiavitù.

 [Ricorda] quando il tuo Signore chiamò Mosè: “Recati presso il popolo degli oppressori, presso il popolo di Faraone: non avranno timore?” (Corano XXVI,10)

Mosè temeva di non essere all’altezza del compito. Pensava che non sarebbe riuscito a farsi comprendere per la sua difficoltà nell’esprimersi – forse una balbuzie o altro difetto di pronuncia – e che avrebbe trovato solo ostilità, perché si era reso colpevole in passato dell’omicidio di un uomo egiziano ed era fuggito.

L’amato fratello Aronne, invece, aveva una buona dialettica ed era un uomo forte.

Mosè allora invocò Dio:

 “Sciogli il nodo della mia lingua, sì che possano capire il mio dire; concedimi in aiuto uno della mia famiglia, Aronne, mio fratello. Accresci con lui la mia forza, e associalo alla mia missione, perché possiamo renderti gloria molto e perché possiamo ricordarti molto”. (Corano, XX, 27-34)

Disse: “Signore, invero temo che mi trattino da bugiardo. È oppresso il mio petto e la mia lingua legata. Manda Aronne piuttosto.  Di fronte a loro io sono in colpa. Temo che mi uccidano”. Disse (Iddio): “Invece no, andate entrambi con i Nostri segni. Noi saremo con voi e ascolteremo. Andate da Faraone e ditegli: “Noi siamo gli inviati del Signore dei mondi, affinché tu lasci partire con noi i Figli di Israele”. (Corano, XXVI, 10-17)

Il Corano racconta poi l’esodo del popolo ebraico dall’Egitto verso la terra promessa. Arrivati al Sinai, il profeta venne chiamato da Dio a ritirarsi per quaranta notti.  Dio lo avvicinò a sé, dialogò con lui, e gli diede la Parola e la Legge per il suo popolo.

E fissammo per Mosè un termine di trenta notti, che completammo con altre dieci, affinché fosse raggiunto il termine di quaranta notti stabilito dal suo Signore. E Mosè disse a suo fratello Aronne: “Sostituiscimi alla guida del mio popolo, agisci bene e non seguire il sentiero dei corruttori”. E quando Mosè venne al Nostro luogo di convegno, e il suo Signore gli ebbe parlato, disse: “O Signor mio, mostrati a me, affinché io Ti guardi”. Rispose: “No, tu non mi vedrai, ma guarda il Monte; se rimane al suo posto, tu mi vedrai”. Non appena il suo Signore si manifestò sul Monte esso divenne polvere e Mosè cadde folgorato. Quando ritornò in sé, disse: “Gloria a Te! Io mi pento e sono il primo dei credenti”.  Disse [Allah]: “O Mosè, ti ho eletto al di sopra degli uomini per [affidarti] i Miei messaggi e le Mie parole. Prendi ciò che ti do e sii riconoscente”.

Scrivemmo per lui, sulle Tavole, un’esortazione su tutte le cose e la spiegazione precisa di ogni cosa. “Prendile con fermezza e comanda al tuo popolo di adeguarvisi al meglio. Presto vi mostrerò la dimora degli empi. (Corano VII, 138-145)

Ma il suo popolo desiderava una presenza divina tangibile e la paura, già dopo l’apertura miracolosa delle acque, aveva preso il sopravvento sulla fede.

Facemmo traversare il mare ai Figli di Israele. Incontrarono un popolo che cercava rifugio presso i propri idoli. Dissero: “O Mosè, dacci un dio simile ai loro dei”. Disse: “In verità siete un popolo di ignoranti”.  […] Disse [Mosè]: “Dovrei cercare per voi un altro dio, all’infuori di Allah, Colui Che vi ha preferito alle altre creature?”.  (Corano VII, 138.140)

Durante l’assenza di Mosè, la gente non volle più ascoltare Aronne. Dimenticando di essere stati salvati dalla schiavitù di Faraone, desiderarono un culto che li rassicurasse e si lasciarono andare all’idolatria, costruendo la statua di un vitello in oro.

E il popolo di Mosè, in sua assenza, si scelse per divinità un vitello fatto con i loro gioielli, un corpo mugghiante. Non si accorsero che non parlava loro e che non li guidava su nessuna via? Lo adottarono come divinità e furono ingiusti.

Quando li si convinse di ciò e si accorsero che si erano traviati, dissero: “Se il nostro Signore non ci usa misericordia e non ci perdona, saremo tra coloro che si sono perduti”. Quando Mosè, adirato e contrito, ritornò presso il suo popolo, disse: “Che infamità avete commesso in mia assenza! Volevate affrettare il decreto del vostro Signore?”.

Scagliò [in terra] le tavole e afferrò per la testa suo fratello e lo trasse a sé: “O figlio di mia madre – disse quello – il popolo ha preso il sopravvento su di me e c’è mancato poco che mi uccidessero. Non permettere che i nemici si rallegrino [della mia sorte] e non annoverarmi tra gli ingiusti”.

E Mosè: “O Signore mio, perdona a me e a mio fratello e facci entrare nella Tua misericordia, poiché Tu sei il più Misericordioso dei misericordiosi”.

Coloro che si scelsero il vitello [come divinità] saranno ben presto sopraffatti dalla collera del loro Signore e dalla vergogna, nella vita terrena. In tal modo ricompensiamo i mentitori.

Quanto a coloro che hanno fatto il male e poi si sono pentiti e hanno creduto… ebbene, il tuo Signore è perdonatore, misericordioso.

Quando la collera di Mosè si acquietò, raccolse le tavole. In esse era scritta la guida e la misericordia per coloro che temono il loro Signore. (Corano VII, 148-154)

Il Corano ci dice che, oltre alle parole del dialogo sul Sinai, Mosè, il devoto al culto sincero, l’uomo scelto dal Signore, fu supportato nella sua missione da nove particolari segni:

Abbiamo dato a Mosè nove segni evidenti. (Corano XVII,101)

Gli esegeti hanno discusso per stabilire quali dei tanti segni e miracoli narrati nel Corano in rapporto a Mosè siano da considerarsi come i nove di cui si parla in questo versetto. Sono giunti alla conclusione che i segni indirizzati a Faraone e al suo popolo siano questi:

Poi, dopo di loro, [i messaggeri] –inviammo Mosè con i Nostri segni, a Faraone e ai suoi notabili, ma essi trasgredirono. Guarda dunque ciò che è accaduto ai perversi. (Corano VII,103)

Lo scopo di ciascuno dei nove segni era mostrare a Faraone la potenza di Dio, il suo sostegno a Mosè per la liberazione dei figli d’Israele.

Disse Mosè: “O Faraone, in verità io sono un messaggero inviato dal Signore dei mondi. Non dirò, su Allah, altro che la verità. Son giunto con una prova da parte del vostro Signore. Lascia che i figli di Israele vengano via con me”. (Corano VII, 104-105)

Altri segni divini (come l’apertura delle acque), pur essendo di natura miracolosa e atti di misericordia da parte di Dio ai figli d’Israele, hanno avuto luogo dopo che essi avevano lasciato l’Egitto e non rientrano nei nove.

Il primo di questi, annunciati in Corano VII,101, è il bastone che si trasforma in serpente.

“Se hai recato una prova con te” disse [Faraone] “Allora mostrala, se sei uno che dice la verità.” Gettò il bastone, ed ecco che si trasformò in un serpente visibile. (Corano VII, 106-107)

Il secondo segno è la guarigione della mano malata di Mosè.

Stese la mano, ed ecco che apparve bianca agli astanti. (Corano VII,108)

Questi due segni erano stati annunciati a Mosè già in precedenza, quando, accampatosi con la famiglia nel Sinai, Dio gli parlò annunciandogli la sua missione presso Faraone e concedendogli il supporto di Aronne:

Quando giunse colà, fu chiamato dal lato destro della Valle, un lembo di terra benedetta, dal centro dell’albero: “O Mosè, sono Io, Allah, il Signore dei mondi” e “Getta il tuo bastone”. Quando lo vide contorcersi come fosse un serpente, volse le spalle, ma non tornò sui suoi passi. “O Mosè, avvicinati e non aver paura: tu sei uno dei protetti. Infila nel tuo seno la tua mano, la trarrai bianca senza male alcuno. Stringi il braccio al petto, contro il terrore. Ecco due prove del tuo Signore per Faraone e per i suoi notabili: davvero è un popolo perverso!” (Corano XXVIII,32)

  Il terzo è la prova della siccità, a cui Dio sottopose Faraone e il suo popolo.

Colpimmo la gente di Faraone con anni di miseria e scarsità di frutti, affinché riflettessero. (Corano VII,130)

Gli altri cinque segni sono narrati in Corano VII,133:

Mandammo contro di loro l’inondazione e le cavallette, i pidocchi, le rane e il sangue, segni ben chiari. Ma furono orgogliosi e rimasero un popolo di perversi.

Il Corano si sofferma su Mosè più che sugli altri profeti. La Sura XX (Ta-ha) in cui di più si parla di lui, è chiamata anche la Sura del kalīm, parola che in arabo indica colui a cui si rivolge la parola. L’epiteto di Mosè è, infatti, Kalīm Allah (colui al quale Dio ha parlato) perché, secondo il Corano, egli è l’unico profeta a cui Dio si è rivolto direttamente (nella rivelazione). La sua figura segna la continuità tra le scritture e l’unità delle religioni rivelate nell’aqida, ovvero il credo nell’unicità di Dio.

Mosè fu un uomo coraggioso di cui le Scritture ci raccontano anche le fragilità. Quando Dio gli parlò e lo incaricò di farsi strumento della liberazione del popolo d’Israele, temette che gli egiziani lo avrebbero immediatamente ucciso, perché aveva ucciso uno di loro. Ed ebbe anche timore di non essere all’altezza del suo compito, poiché sapeva di non avere un buon eloquio. Dio allora gli diede un ausilio nel fratello Aronne, che così condivise con lui la missione profetica. Il Corano presenta con grande intensità il rapporto tra questi due uomini, allevati come fratelli e uniti da Dio in un unico destino di profezia. Essi sono un potente esempio del significato profondo della fratellanza spirituale, che unisce tutti i credenti nella fede.

Marisa Iannucci, in La scuola domenicale, rivista CEI, anno 2016

NOTE:
[1] Tafsir di Ibnu Kathir, riportato dall’Imam Ahmad, narrato nelle raccolte di An- Nisa’i, At-Tirmidhi, Ibn Maja, Ibnu Jarir Tabari, classificato come autentico (sahih)da At-Tirmidhi. Dal testo integrale del racconto si evince che il versetto di cui chiesero notizia si riferiva ai nove segni dati a Mosè per Faraone.


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